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L’ARCA n. 176 - Blue Theater

ENG

Opposite poles of the planet, the Arctic and the Antarctic differ in terms of life forms, climate impact, research and exploitation projects, geopolitical interests, and strategic roles. 
Although they are almost identical in size (15 million square kilometres, one and a half times the size of Europe or the USA), they have different geophysical features. Whereas the ice cap of the North Pole overlies the Arctic Ocean and merges   with the surrounding lands near the Arctic Circle, the Antarctic is a continent. Covered by a thick ice sheet up to 4,000 meters thick, it hides large underground rivers and lakes, rich deposits of traces/remnants of our history, which have only recently been discovered and monitored by satellites such as the European ERS-2 and the American Ice Sat2. 
As “thresholds of irreversibility” of a newly emerging Anthropocene age, the Arctic and Antarctic are releasing drifting icebergs the size of cities, entire regions, or countries. Among the largest recorded by the US National Ice Center, kA-23a is currently the largest iceberg in the world after obliterating the previous record holder A-76 (4,300 square kilometres), which is only one-third the size of B15 and broke off from the Ross Ice Shelf in Antarctica in 2000.
Its route will be intercepted by the Antarctic Circumpolar Current, which will direct it into the southern Atlantic Ocean. Located in the Arctic, the Sermeq Kujalleq is the fastest glacier in the world: it advances an average of 20 meters per day and produces gigantic floating sculptures up to 1 kilometre tall. The progressive melting of the ice is now unanimously acknowedged by international observers as the primary cause and consequence of ongoing environmental changes, including rising sea levels (2 meters by 2100 and 5 meters by 2150) and   negative impact on cities, coastal territories, and islands. The small archipelago of Tuvalu, located at the intersection of Polynesia and Micronesia, and its 12,000 inhabitants is destined   to disappear in 30 years, submerged by water: this is not an isolated incident in the future but an instance of a widespread environmental threat that involves territories and coastal cities, along with their populations, cultures, economies, tourist destinations, and port infrastructures – logistical and digital – that are now highly vulnerable and face a tricky future of radical transition.
While rising temperatures, increasing meteorological volatility, and insufficient remedies for addressing energy wastage, all cross the irreversible thresholds of environmental criticality, they are still lacking in any urgent design/political measures to oppose their impact. Design, finance, and geopolitics continue to converge on “discreet” objectives, i.e. sectoral and short-term objectives that cannot confront the broader and more complex issues that lie ahead, whose opportunities and consequences are far from unknown or invisible. This myopic form of vertical pragmatism in terms of technology and geopolitics is further accentuated by the syndrome of temporal disparity between the slowness of any counteraction and the increasing speed of irreversible changes underway. As a result, a new culture of planning, widespread and at the same time “locally based,” must assert itself to reclaim its role in terms of knowledge, co-creativity, awareness of consequences, and responsibility. To do so, it must embrace issues and solutions   that are across-the-board in contrast with the “dead end” fragmentation characterising our late-Enlightenment culture. 
The Arctic and Antarctic, icy white protagonists on the edge of   our “Blue Theatre”, are the setting of many of the epochal challenges human ingenuity has had to face, from the Viking ships   of 1,000 years ago preserved at Roskilde Museum to recent expeditions in the late 19th and early 20th centuries documented in diaries and photographs that tell the tale of ships like The   Endurance and airships like the Norge, as well as strong-willed explorers like Scott, Amundsen, Nobile and many others. 
Today, the polar extremes of our planet bear witness to much more: from new Arctic routes across the retreating ice to international disputes over the exploitation of enormous underwater resources, from the technologies used for nuclear   icebreakers to the invisible lookout submarines under the icepack. “Scientific” bases set up in the Antarctic by so many   countries are multiplying while the nations claiming portions of its territory are now 7: Argentina, Australia, Chile, France (with which Italy shares one of its two scientific observation bases), Norway, New Zealand and UK. Antarctica, as stated in the 1959 Antarctic Treaty, should not be claimed by any states at all. However, its potential resources – and the discoveries announced so far – could mark an epochal turning point in technologies available today.

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ITA

Poli opposti del pianeta, Artico e Antartico si differenziano per forme di vita, impatto climatico, ricerche e progetti di sfruttamento, interessi geopolitici e ruoli strategici. 
Quasi identici per estensione (15 milioni di chilometri quadrati, una volta e mezzo l’Europa o gli USA) hanno caratteri geofisici diversi: mentre la calotta ghiacciata del Polo Nord sovrasta l’Oceano Artico e si salda alle terre confinanti con il circolo polare, l’Antartide è un Continente. Ricoperto da una coltre di ghiaccio spessa fino a 4.000 metri, nasconde grandi fiumi e laghi -sotterranei e comunicanti tra loro, giacimenti ricchissimi di tracce e trame della nostra storia- scoperti solo   di recente e monitorati da satelliti come l’europeo ERS-2 e   l’americano Ice Sat2.
Protagonisti delle “soglie di irreversibilità” di un Antropocene   appena al suo esordio, Artico e Antartico stanno rilasciando alla   deriva iceberg di dimensioni pari a città, intere regioni o paesi. Tra i maggiori censiti dal National Ice Center USA, kA-23a è   oggi l’iceberg più grande al mondo dopo la disgregazione del   precedente primatista A-76 (4.300 chilometri quadrati), grande   appena un terzo di quello (B15) che nel 2000 si staccò dalla   piattaforma di Ross, sempre in Antartide. La sua rotta sarà intercettata dalla Corrente Circumpolare Antartica, che lo dirigerà nell’Oceano Atlantico meridionale. Nell’Artico il Sermeq Kujalleq è il ghiacciaio più veloce del mondo: avanza in media   20 metri al giorno e produce gigantesche sculture galleggianti, alte fino a 1 chilometro.
Il progressivo scioglimento dei ghiacci è ormai unanimemente indicato dagli Osservatori internazionali quale causa e conseguenza primarie dei cambiamenti ambientali in atto, tra i quali l’innalzamento del livello dei mari (2 metri entro il 2100 e 5 metri nel 2150) e le conseguenze su Città, territori costieri e isole.
Il futuro imminente del piccolo arcipelago di Tuvalu, all’incrocio tra Polinesia e Micronesia, e dei suoi 12.000 abitanti è quello di scomparire fra 30 anni sommerso dalle acque: non è un   futuro isolato ma il simbolo di una minaccia ambientale diffusa che coinvolge territori e città costiere, con relative popolazioni,   culture, economie, mete turistiche, infrastrutture portuali – logistiche e digitali – che si troveranno a fronteggiare una fragilità annunciata e difficili percorsi di radicale transizione.
Mentre l’innalzamento delle temperature, la crescente volatilità meteorologica e i rimedi insufficienti a fronteggiare lo spreco energetico, varcano tutti insieme le soglie irreversibili di criticità ambientale, registrano tuttavia la perdurante latitanza di un’urgente cultura progettuale e politica di contrasto. 
Progettualità, finanza e geopolitica insistono infatti a convergere su obiettivi di dominio “discreto”, vale a dire settoriale e a breve termine, perciò inadeguati a confrontarsi con un orizzonte di futuri più ampi e complessi, popolati di opportunità e di conseguenze tutt’altro che invisibili. A questo miope pragmatismo verticale dei sylos tecnologici e geopolitici si aggiunge la sindrome della disparità temporale tra la lentezza del “negozio dei domini” e la crescente accelerazione dei cambiamenti irreversibili in atto. 
Di conseguenza una nuova cultura del Progetto, diffusa e al contempo “situata”, deve imporsi di reclamare il suo ruolo di conoscenza, di co-creatività, di coscienza delle conseguenze e   di responsabilità. Per farlo deve incrociare problematiche e soluzioni che siano trasversali rispetto alla dead-end dei sylos in cui si frammenta la nostra cultura tardo-illuminista del fare.
Artico e Antartico, protagonisti gelidi e bianchi ai confini del Blue Theater, hanno messo in scena sfide epocali dell’ingegno umano, dalle navi vichinghe di 1000 anni fa, conservate al Museo di Roskilde, alle recenti spedizioni di fine ottocento e primo novecento documentate da diari e fotografie che raccontano navi come l’Endurance e dirigibili come il Norge, di volitivi esploratori come Scott, Amundsen, Nobile e molti altri. 
Oggi gli estremi polari del nostro pianeta testimoniano altro: dalle nuove rotte artiche attraverso i ghiacci in ritiro alle dispute internazionali per lo sfruttamento delle enormi risorse sottomarine, dalle tecnologie impiegate per le rompighiaccio nucleari agli invisibili sottomarini di vedetta sotto il pack. In Antartide le basi “scientifiche” installate da molti Paesi si stanno moltiplicando mentre le nazioni che rivendicano porzioni del suo territorio sono 7: Argentina, Australia, Cile, Francia (con la quale l’Italia condivide una delle sue due basi di osservazione scientifica), Norvegia, Nuova Zelanda, UK. L’Antartide, come   stabilito dal Trattato Antartico del 1959, non dovrebbe essere   rivendicata da alcuno Stato. Tuttavia le sue potenziali risorse – e le scoperte finora annunciate – potrebbero imprimere alle tecnologie oggi conosciute una svolta epocale.

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